Data: 15 Giugno 2020
Rivista: Retail & Food
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Testo dell’articolo:
A dominare la scena durante il lockdown è stato il delivery. Nonostante una prima battuta d’arresto all’indomani della chiusura forzata dei ristoranti, le piattaforme di consegna a domicilio hanno rappresentato un salvavita per molti esercizi dando impulso al fenomeno delle dark kitchen e dei virtual brand. «Finalmente i brand non vedono più la tecnologia come un nemico. Quando ne parlavo due o tre anni fa in molti sottovalutavano il fenomeno. Eppure si stava diffondendo rapidamente in molti paesi e sfruttava tecnologie già esistenti che aspettavano di essere applicate. Quell’occasione mancata avrebbe rappresentato oggi uno strumento per attenuare e addolcire i contraccolpi dell’emergenza», afferma Michele Ardoni, fondatore di Dynamic Food Brands e un’esperienza decennale nella consulenza retail. Il riferimento, però, non si riduce all’attivazione del delivery che «fatto in questo modo rischia di risultare un costo per i piccoli ristoratori che devono corrispondere una commissione del 30% per avvalersi del servizio delle piattaforme». Per il rilancio della ristorazione, ci vuole qualcosa in più: un nuovo modello attraverso cui pensare lo sviluppo dei brand. «La dark kitchen, in questo senso, diventa il punto di contatto fra imprenditore e ristoratore e non più uno spin-off dell’attività di uno di due. Il vantaggio è duplice: per il gestore ci sarà la garanzia di ricevere un prodotto di alta qualità, certificato e semilavorato così da rispettare i tempi di cottura e consegna; per il brand la dark kitchen diventa strumento per ampliare il proprio mercato, raggiungere diverse piazze senza il rischio del canale fisico», spiega Ardoni. Una scelta di sviluppo che deve fare i conti con il tema della logistica: «Se possibile, la gestione della consegna a casa dovrebbe tornare in capo ai ristoratori. In questo modo aumenterebbero notevolmente i dati a disposizione dei sistemi di CRM che a loro volta permettono una migliore profilazione del cliente. Per rendere sostenibile questi investimenti, le aziende attive nel settore food dovrebbero cercare di unirsi, consorziarsi a livello locale, di isocrona, per attivare economie di scala. In questo modo, secondo i nostri calcoli, si potrebbe arrivare a un risparmio del 18% per quanto riguarda i costi di gestione del delivery», suggerisce Ardoni. Contemporaneamente si creerebbe una nuova nicchia di mercato in cui la qualità del delivery sorpassa il semplice guadagno di tempo per andare incontro a un consumatore ormai evoluto. «Gran parte dell’abitudine al digitale guadagnata durante il lockdown rimarrà nel tempo. Ci saranno app che non verranno cancellate dal nostro smartphone perché fanno parte del nostro quotidiano. Fra queste, quelle che abilitano l’utente all’acquisto da remoto non più visto come solo strumento tecnologico ma momento di appagamento, gratificazione personale e quindi esperienza», rivela Ardoni. Tutti a sviluppare online? E il fisico? «Potrebbe tornare a essere il regno del locale, del negozio di vicinato a patto che non si arrenda di fronte a questa situazione. Il retail locale è quello che più facilmente può conquistare il cliente che lavora da casa, che sta in pantofole tutto il giorno, che ha cambiato totalmente i propri orari di pasto, ecc. L’importante è approcciare un modello di business nuovo, oltre la porta d’ingresso e la vetrina del proprio punto vendita per aprirsi al digitale e mettere a frutto una logistica di prossimità che non ha eguali».